Yayoi Kusama e i polka dot
Elisa Macellari è la disegnatrice perfetta per raccontare la vita di Yayoi Kusama, l’artista giapponese fuori dagli schemi divenuta icona pop negli Stati Uniti esprimendo attraverso l’arte le sue ossessioni.
L’autrice italo-thailandese del bellissimo Papaya Salad (Bao Publishing, 2018), il racconto delle sue origini, ha infatti una naturale e innata sensibilità nel descrivere la commistione di mondi e la contaminazione tra culture tanto diverse.
Elisa Macellari ha anche un altro talento, già ampiamente dimostrato nel suo fumetto precedente. L’ho cercato in Kusama. Ossessioni, amori e arte (Centauria, 2020) e sono stata felice di ritrovarlo: un uso personale piacevolissimo dei colori, accesi, avvolgenti e appaganti, di cui non ci si stanca mai.
Questa sua graphic biography di Yayoi Kusama è un’immersione in un ricco universo femminile fatto di fragilità, sensibilità e allo stesso tempo di un’incredibile forza, determinazione, coerenza, genialità, modernità, pensiero rivoluzionario, provocatorio e anticonvenzionale.
Sicuramente è una lettura che invoglia ad approfondire la conoscenza di Yayoi Kusama, a scoprire di più grazie ad ulteriori letture, ad assistere al suo processo creativo guardando video e documentari. Fa sognare di poter osservare dal vivo le sue opere d’arte.
Yayoi Kusama nasce da una ricca famiglia il 22 marzo del 1929 a Matsumoto, un paesino di montagna nella prefettura di Nagano, poco distante da Tokyo. Il Giappone di allora era fortemente conservatore, legato alle tradizioni e ai dettami del confucianesimo che vedevano la donna inferiore e del tutto subordinata alla figura maschile di turno: prima il padre, poi il marito e infine il figlio primogenito. Il suo unico scopo era sposarsi, fare ed educare i figli, servire e portare rispetto al marito, badare a casa e famiglia.
Sin da bambina Yayoi Kusama scopre di soffrire di allucinazioni visive e uditive. Il disegno è un sollievo, un modo per mettere a tacere le sue ossessioni e le sue paure.
Lascia che il suo stato d’animo si incarni in forma artistica, permette a se stessa di esprimere l’indicibile a parole. Attraverso il lato sensoriale del processo artistico accede alle proprie emozioni e percezioni. Nel carattere ripetitivo del gesto trova la chiave per entrare in contatto con il proprio io e per calmarsi. Scopre in questa continua catarsi la giusta medicina con cui curarsi e il mezzo per imparare a conoscersi in una prospettiva diversa e nuova.
Dunque ecco nell’arte la strada da seguire, contro qualsiasi ostacolo. E tristemente il primo che Yayoi Kusama deve affrontare è costituito dalla sua stessa famiglia.
La madre non approva il suo interesse e la osteggia con tutte le forze, perché è convinta che l’unica realtà possibile per una donna sia un buon matrimonio. Spesso le impone di spiare suo padre, adultero e frequentatore di bordelli. Per Yayoi Kusama essere testimone di quelle oscene infedeltà è un trauma, una ferita insanabile che si trasforma ben presto in fobia per la sessualità. Sarà una compagna per la vita, anch’essa esternata attraverso le sue opere.
Se in famiglia è una guerra continua, al di fuori la situazione è anche peggiore: il Giappone è dilaniato dal secondo conflitto mondiale. Una volta tornata la pace nel paese Yayoi Kusama si iscrive all’istituto municipale di arte di Kyoto.
Ben presto però dentro di sé prova il desiderio di lasciare il Giappone. Un giorno in un negozio scova un libro sull’artista statunitense Georgia O’Keeffe. Un’illuminazione. La contatta per lettera, le si presenta. Questa sua intraprendenza sarà la chiave per avverare il suo sogno, che segnerà l’ovvia rottura con la sua famiglia.
Parte nel 1957 per gli Stati Uniti portando con sé un milione di yen cuciti negli abiti, sessanta kimono e duemila disegni. I quadri che non entrano in valigia e che non possono lasciare il Giappone con lei li brucia, per evitare che a distruggerli sia sua madre. Un’immagine e un pensiero che fa stringere il cuore.
Per qualche tempo Yayoi Kusama risiede a Seattle per poi trasferirsi a New York. Purtroppo anche in America gli scogli da superare abbondano, a livello economico e culturale. Non è facile per una artista donna, per giunta giapponese, affermarsi in un ambito prevalentemente maschile e “bianco”.
Fortunatamente arrivano le prime occasioni per esporre e la sua fama cresce. Con i suoi dipinti astratti, le sue soft sculptures e le sue installazioni tridimensionali viene invitata in gallerie, musei e salotti negli States e in Europa. Poi comincia con le performance, gli happening e le orge di body painting, nel suo studio e in strada, che la renderanno nota nel mondo hippie e pacifista e faranno di lei una guru rivoluzionaria.
Progressivamente, con fervore e impegno, Yayoi Kusama conquista le vette in molti ambiti. È attiva nell’organizzazione e nella realizzazione di eventi e musical con la Kusama Enterprise, la Kusama Musical Production, la Kusama Polka Dot Church. Nel mondo della moda si afferma con la Kusama Fashion Company Ltd. ed è presente nel settore cinematografico attraverso la Kusama International Film Company Ltd., il Body Painting Studio e l’Homo Social Club Kok.
Dal 1957 al 1975 Yayoi Kusama frequenta persone di ogni tipo. Viene a contatto con i maggiori esponenti delle correnti artistiche che vanno dall’espressionismo astratto alla Pop Art, passando dal surrealismo fino ad ogni forma di sperimentalismo di avanguardia.
Fra i tanti: Andy Warhol che l’ha incitata, sostenuta e protetta, Donald Judd, un amico che aveva anche lo studio vicino al suo, Allan Kaprow, Yves Klein, Piero Manzoni, Claes Oldenburg, Jasper Johns, Mark Rothko, Salvador Dalí e Joseph Cornell. Con quest’ultimo, più grande di lei di ventisei anni, ebbe un profondo legame e un platonico rapporto d’amore.
Yayoy Kusama diventa famosa nel mondo grazie alla sua arte, caratterizzata dalla ripetizione di pattern. Dominano ramificazioni, tentacoli di mille colori che svettano da terra, piante, fiori, falli e zucche maculate. E ovviamente i suoi celeberrimi e coloratissimi pois, in inglese Polka dots.
Dietro a questa forma c’è un insieme di significati legati alla tradizione giapponese e non:
«A polka-dot has the form of the sun, which is a symbol of the energy of the whole world and our living life, and also the form of the moon, which is calm. Round, soft, colorful, senseless and unknowing. Polka-dots become movement… Polka dots are a way to infinity »
Yayoi Kusama, Manhattan Suicide Addict
L’universo a pallini si connette con le sue allucinazioni e la sua malattia mentale. Ma quegli stessi pallini sono il simbolo del sole con la sua energia vitale, del cosmo con cui unirsi, del firmamento, della luna. Rimandano al movimento circolare e ciclico naturale, al rinnovamento, all’infinito e all’eternità.
Come già accennato, sono un’autocura, uno strumento salvifico e nel contempo le permettono di professare ed estrinsecare la propria filosofia, fondata sul concetto di obliterazione. Con questo termine Yayoi Kusama intende l’annullamento di sé, a totale favore della propria arte. È l’unica via che l’artista creatrice può percorrere per coincidere totalmente con l’arte stessa che produce.
Se inizialmente i suoi pois diventano famosi a New York, in seguito contagiano il mondo. Yayoi Kusama contribuisce a un totale cambiamento di prospettiva rispetto al passato, più o meno remoto. I puntini, soprattutto se irregolari, in determinati periodi storici e ambiti culturali erano considerati un elemento di cattivo augurio. Dietro c’era l’idea di ben altro contagio e dello stigma che ne conseguiva.
Spesso infatti venivano collegati ai segni caratteristici di malattie incurabili come il morbillo, la peste bubbonica, la lebbra, il vaiolo ma anche la sifilide. In altri casi nell’immaginario erano legati al sangue che sporcava i vestiti delle donne e la biancheria nel caso degli aborti spontanei. Oppure facevano pensare a quello espettorato dai tisici che macchiava i fazzoletti.
Lo spiega bene Steven Connor, professore dell’Università di Cambridge nel suo articolo Maculate conception (in «Textile. The Journal of Cloth and Culture», vol. 1, 2003 – issue 1, pp. 48-63).
È nel 1975 che Yayoi Kusama prende la decisione di rientrare in Giappone e ricevere le cure nel Seiwa Hospital, ospedale psichiatrico di Shinjuku City, quartiere speciale di Tokyo. Per risolvere problemi alla vista e allucinazioni si lascia alle spalle un lungo e fruttuoso periodo di lavoro, di esposizioni e successi internazionali.
Nonostante fosse un’artista affermata, in Giappone era ancora considerata motivo di scandalo. L’isolamento e l’oblio di cui cade vittima la portano ad una profonda depressione.
Per questo motivo nel 1977 sceglie di trasformare definitivamente il Seiwa Hospital nella sua casa. Arriva persino un tentativo di suicidio ma si riprende e nemmeno nei momenti più bui rinuncia all’arte, alla sua terapia primaria. Continua sempre a dipingere, a fare collage, recandosi costantemente in un atelier da lei affittato nelle vicinanze del nosocomio. E nel contempo scrive poesie, romanzi surreali e quella che tempo dopo sarà la sua autobiografia: Infinity net.
Nel 1987 finalmente il Giappone accoglie la sua arte e poco dopo anche l’America e l’Europa riprendono a ricordarsi di lei. Fioccano nuovamente le chiamate per numerose mostre. L’invito ufficiale alla Biennale di Venezia del 1993 è un grande riconoscimento. Molti anni prima, nel 1966, si era autoinvitata portando a sorpresa l’installazione di sfere riflettenti Narcissus Garden.
La graphic novel si chiude con Venezia. Elisa Macellari sceglie di non accennare al periodo più recente che vede Yayoi Kusama protagonista anche di curiose incursioni nel retail. Degna di nota è la collaborazione con due brand di fama mondiale: nel 2010 il suo nome è legato ad un lucidalabbra di Lancôme e nel 2012 ad una collezione di borse a pois di Louis Vuitton.
Oggi Yayoi Kusama ha 91 anni e continua ad essere attiva. Il 15 aprile scorso ha voluto indirizzare al mondo intero un messaggio di speranza e coraggio contro il coronavirus attraverso il sito del Museo Victoria Miro. In traduzione italiana suona così:
Benché essa scintilli appena fuori dalla mia portata, continuo a pregare affinché la speranza risplenda.
Il suo chiarore illumina la nostra strada
Un grandioso bagliore cosmico a lungo attesoOra che ci troviamo sul lato oscuro del mondo
Gli dei verranno a rafforzare la fede che abbiamo diffuso in tutto l’universoPer chi è stato dimenticato, la storia di ogni persona e quella dei suoi cari
È ora di ricercare un inno d’amore per le nostre anime
Nel contesto di questa storica minaccia, una breve esplosione di luce indica il futuro
Intoniamo con gioia questo canto per un futuro splendido
Andiamo!Avvolti da profondo amore e dagli sforzi di persone di ogni luogo
Ora è tempo di oltrepassare, di portarci la pace.
Ci radunammo per amore e spero di appagare quel desiderio
È giunto il momento di combattere e superare la nostra infelicitàA COVID-19 che ostacola il nostro cammino
Io dico «Sparisci da questa Terra»
Combatteremo.
Combatteremo questo terribile mostro.Che le persone di tutto il mondo si alzino in piedi.
da Yayoi Kusama
La mia profonda riconoscenza va a tutti coloro che stanno già combattendo.
Rivoluzionari del mondo per opera dell’Arte.