Guerra, propaganda e Patria: crescere in era fascista
Un passaggio di testimone generazionale privato diventa patrimonio collettivo grazie a Patria, crescere in tempo di guerra di Bruna Martini (BeccoGiallo, 2021). Un graphic memoir che raccoglie il punto di vista, a suo modo privilegiato, di una bambina come tante, formata ed educata durante la seconda guerra mondiale al credo fascista: Grazia Mapelli, detta Graziella, zia dell’autrice.
L’origine ideale di questa graphic novel sta nei tanti racconti sul periodo della guerra che Bruna Martini, fin quando era piccola, ha avuto la fortuna di poter ascoltare da sua zia. Ma c’è un momento preciso al quale la sua memoria torna quando le si chiede il principio di tutto. Un ricordo speciale. Il giorno in cui zia Graziella decide di condividere con lei, che allora aveva circa dieci anni, un pezzo tangibile della propria infanzia, di quando aveva all’incirca la sua stessa età.
Da una scatola, conservate con estrema premura, tira fuori le sue pagelle scolastiche di epoca fascista. Un colpo d’occhio che svela a Bruna una scuola completamente diversa da quella che lei è abituata a frequentare nel suo quotidiano. Su quelle pagelle infatti, ci sono immagini forti e violente, inadeguate al mondo dell’infanzia. Veicolano valori al contrario: conflitto, impeto, sopraffazione, colonizzazione, lotta contro i più deboli.
Il progetto effettivo di Patria, crescere in tempo di guerra risale invece a quattro anni fa. Bruna Martini vi fa confluire diversi materiali del periodo fascista. La maggior parte provengono dall’archivio personale della zia: pagelle, quaderni, sussidiari, esercizi e tante istantanee di famiglia, scattate e sviluppate nel bagno di casa da Armando Mapelli (nonno dell’autrice e papà di zia Graziella), amante della fotografia.
Altri Bruna Martini li ha collezionati nel corso degli anni girando per mercatini, negozi dell’antiquariato e librerie. Li miscela e rielabora tutti grazie ad una profonda preparazione acquisita attraverso l’intensa attività di ricerca e studio di fonti cartacee, audio e video, nonché di oggetti museali.
La realizzazione della graphic novel ha visto più fasi. In primis la registrazione della testimonianza primaria della zia attraverso videointerviste. Poi la selezione della documentazione da utilizzare. Infine il vero e proprio processo tecnico di composizione. Per la prima stesura Bruna Martini si è avvalsa della collaborazione della zia. Fondamentale ogni suo commento e spunto di riflessione per apportare correzioni e modifiche alle tavole.
Il risultato finale è sbalorditivo. I disegni dal sapore infantile, prevalentemente nei toni del blu, del giallo, dell’arancio e del nero sono a base di pastelli ad olio, acquarello e accenti in acrilico e sono eseguiti su fogli di carta d’acquerello molto spessa. In una grande varietà di layout, si uniscono e dialogano in maniera incredibile con tanta suggestiva documentazione, come in un collage.
La parte testuale, tutta in prima persona come se la protagonista annotasse un diario, è resa in rima baciata, a ricordare le filastrocche per fanciulli tanto in voga in quegli anni e nel dopoguerra. Il lettering ricalca anch’esso la leziosa grafia curvilinea di una scolaretta del tempo che fu. Toni, contenuto e parole stridono volutamente concorrendo ad emozionare e a fare ragionare.
Graziella Mapelli nasce il 16 marzo 1932 da Armando Mapelli e sua moglie Bruna Silva. Dopo di lei tra 1934 e il 1953 arrivano altri sette figli, sei femmine e un maschio. Nell’ordine: Carla, Marisa, Adriana, Silvia, Pierangelo, Laura e Patrizia. La tanto numerosa famiglia Mapelli è considerata un modello durante il regime che ritiene il nucleo familiare come “un’estensione dello Stato”.
Per acquisire forza militare e garantire all’Italia un valente e nutrito esercito nel lungo periodo, fa infatti affidamento sulla crescita demografica. Alle madri di molti figli conferisce una medaglia d’onore da indossare appuntata sul lato sinistro del petto, in occasione di tutte le feste pubbliche. Ai papà come Armando invece, per aver contribuito in modo così importante alla crescita nazionale, concede di non imbracciare le armi.
Oltre alla politica di sostegno alle famiglie numerose, il regime fascista introduce l’imposta sul celibato (Regio Decreto Legge del 12 febbraio 1927, n. 2132) ideata per favorire i matrimoni e di conseguenza, anche in questo caso, per accrescere le nascite.
È una tassa che colpisce un enorme numero di cittadini tra i 25 e i 65 anni che oggi definiamo single (durante il fascismo anche l’uso delle parole straniere è vietato!). A ulteriore dimostrazione di quanto sia gravosa l’ingerenza dei sistemi totalitari sulla vita quotidiana e privata della gente. È scapolo anche lo zio Lino, che tanto ruolo ha nell’infanzia della piccola Graziella.
La famiglia Mapelli vive a Trezzo sull’Adda, un paese contadino della Lombardia. Graziella gioca spensierata nei campi. Rotolare giù dalla collina ridendo come una matta è il suo passatempo preferito. La campagna negli anni della guerra è piena di donne intente al lavoro, perché gli uomini sono quasi tutti al fronte. La vita è dura e porta a crescere in fretta. Tanto più se si ha una famiglia numerosa, bisogna risparmiare su tutto. La fame si fa sentire e paradossalmente in Italia miete più vittime del conflitto.
La dispensa di casa Mapelli spesso langue e per i pochi acquisti possibili c’è la carta annonaria che regola un rigido razionamento. Per contrastare la crisi alimentare, il governo fascista esorta i cittadini a coltivare i cosiddetti orti di guerra «così che non una zolla di terreno produttivo dovrà restare inutilizzata». E da quel momento le aiuole, i parchi pubblici, le piazze, i terrazzi privati e persino le vasche da bagno negli appartamenti degli italiani vengono adattati a questo scopo.
La campagna in generale è un luogo cardine del condizionamento ideologico fascista. Le feste rurali e le sagre paesane tradizionali servono a creare consenso e identità. Danno all’Italia la finta immagine di sé come di uno Stato (e di un popolo) sano e moralmente integro, di lavoratori. Le trebbiature diventano vere e proprie manifestazioni del regime in pompa magna, fra coccarde, vessilli e cori fascisti. Chi non ricorda le foto e filmati di Mussolini intento ai lavori nei campi?
È l’Italia dell’autarchia, quella a tutti i costi autosufficiente nel produrre tutto ciò di cui abbisognava, senza doverlo importare dall’estero, dai paesi nemici. Ma l’unico effetto che ottiene questa politica è l’impoverimento generalizzato nella dieta della popolazione, e la penuria di cibo.
Quando a casa di Graziella all’improvviso la tavola si riempie di piatti succulenti, che da tempo mamma Bruna non cucinava più, è perché ci sono persone vittime di espropri: gli ebrei. Con il Regio Decreto Legge del 5 settembre 1938 n. 1390 di Mussolini, gli ebrei non hanno più il diritto al lavoro nei pubblici uffici, gli è vietato contrarre matrimoni misti e ad alunni ed insegnanti sono precluse le scuole di qualsiasi ordine e grado.
Memorabile la frase di Sami Modiano, di due anni più grande di Graziella, che allora andava alle elementari: «Quel giorno ho perso la mia innocenza. Quella mattina mi ero svegliato come un bambino. La notte mi addormentai come un ebreo». Di novembre dello stesso anno l’imposizione di pesanti limiti alla loro facoltà di possedere beni mobili e immobili.
Ma è dopo l’8 settembre del 1943 che le loro condizioni peggiorano notevolmente, con la confisca indiscriminata di tutti i loro averi, per arrivare agli arresti sistematici e alla deportazione. In Italia ci sono tanti campi di internamento ma anche alcuni di concentramento.
Quello di Fossoli, frazione di Carpi nei pressi di Modena e quello famigerato di Gries-Bolzano, gestito dai criminali Karl Friedrich Titho, Hans Haage e Misha Seifert, attivi rispettivamente dal 1942 e da luglio del 1944, sono i principali capolinea di partenza per il trasferimento di prigionieri politici e razziali verso i campi del Reich.
E se ai bambini ebrei la scuola è preclusa dal 1938, Graziella continua ad andarci anche durante la guerra, sotto le bombe. Non di rado durante il percorso in tram per recarvisi, le sirene avvertono dell’arrivo dell’aviazione alleata e dei bombardamenti.
Scendere di corsa insieme a tante altre persone impaurite vuol dire correre il rischio di rimanere schiacciata. L’alternativa però è non fare in tempo ad andare a proteggersi nei campi o in qualsiasi avvallamento di terra.
Quando è in compagnia del nonno, lui le dice di rimanere seduta fino all’ultimo perché gli aerei non molleranno il loro carico mortale fino a quando tutti non saranno scesi dal tram. Graziella sa che non è vero ma quell’atteggiamento calmo e risoluto la tranquillizza. Anche durante lo svolgimento delle lezioni ogni tanto si deve correre nei rifugi, ma farlo non è poi così spaventoso. Graziella vive tutto come se fosse un gioco.
Ed è proprio fra i banchi di scuola che il fascismo esprime tutta la sua forza e il suo impegno di indottrinamento endemico. Attraverso la manipolazione delle menti dei bambini qualsiasi totalitarismo si assicura la fedeltà e l’obbedienza cieca dei sudditi del domani.
Alcune materie insegnate sono specificatamente strumentali, come ad esempio «Storia e cultura fascista», incentrata sui fatti salienti della recente storia fascista, il funzionamento statale e l’idolatrata figura del Duce. Ma anche in tutte le altre si estrinseca la pervasività della propaganda. Nei dettati, nella ginnastica e financo nella matematica. Problemi, calcoli ed esercizi di logica sono intrisi di odio xenofobo e di esaltazione della guerra.
A scuola poi si imparano le arti manuali e ci si impegna a sostenere il morale dei soldati al fronte, inviandogli pacchi di viveri e lettere. E se durante la settimana c’è il lavaggio del cervello a scuola, il sabato e la domenica non si scampa da tutte le altre attività architettate per tenere avvinti i giovani.
«Io devo crescere buono, per far piacere al Duce».
La Gioventù Italiana del Littorio nasce nel 1937 alle dipendenze del Partito Nazionale Fascista con lo scopo di garantire la preparazione spirituale, sportiva e militare dei ragazzi italiani fondata sui principi dell’ideologia di regime. L’organizzazione suddivide i membri gerarchicamente in gruppi in base all’età.
Si inizia dai Figli della Lupa di cui si fa parte dai sei ai sette anni, indipendentemente dal sesso. Dagli otto ai dodici anni i maschi sono i Balilla, mentre le femmine come zia Graziella, le Piccole italiane. Dai tredici ai diciassette anni ci si impegna fra gli Avanguardisti e le Giovani italiane, mentre dai diciotto anni fino alla maggiore età fra i Giovani fascisti e le Giovani fasciste.
Non c’è attimo, non c’è spazio della vita che sia libero dall’opprimente propaganda, dal suo continuo bombardamento. Svanisce improvvisamente solo con la fine della guerra. Ma le ferite che lascia sono forse più gravi di quelli esteriormente visibili dopo il conflitto: macerie e devastazioni, corpi martoriati, mutilazioni e invalidità.
Sono passati tanti anni. Noi siamo e viviamo gli effetti della rinascita culturale e del cambiamento di pagina dell’Italia. Tante le enormi conquiste, spesso date per scontate, ma palesi anche criticità e carenze. Cosa fare all’approssimarsi di un futuro privo di testimoni diretti di quel periodo? Come evitare di ripetere gli stessi errori?
Di certo impegnandoci sempre a leggere, ad informarci, a studiare e a comunicare con sincerità e serietà ciò che è stato. Non si evolve, non si migliora rimuovendo, disconoscendo, negando o liquidando certe questioni come “vecchie e superate”.
Possiamo poi considerare la nostra stella polare il messaggio di libri come Patria, crescere in tempo di guerra, che ci insegnano che la storia non è fatta di soli eroi ma di persone comuni come noi. Allegoricamente infatti come Graziella, bambina indottrinata e “passiva”, o comunque con poca indipendenza per autodeterminarsi, si è comportata la gran parte della popolazione italiana. Quante persone non hanno fatto nulla per opporsi al fascismo e con la loro indifferenza hanno al dunque fiancheggiato Mussolini fino alla sua disfatta? Hanno forse meno responsabilità di chi ha collaborato attivamente al regime?
Una considerazione che avvicina Patria a Heimat di Nora Krug, un altro graphic memoir che ho molto apprezzato. In quello l’autrice tedesco-americana fa dolorosamente i conti con il proprio passato. Ricostruisce il ruolo della propria famiglia durante il nazismo, riflettendo anche sui tanti silenzi colpevoli. Simili inoltre per determinate scelte grafiche, per la ricerca e l’impiego di materiali eterogenei e per il titolo: Patria in italiano e in tedesco.
In conclusione. Alla base della democrazia e di una società libera e matura ci sono conoscenza e coscienza, consapevole comprensione e approfondimento. Elementi che permettono alla storia di farsi magistra vitae, di dare cioè alle persone le uniche armi che servono davvero: quelle per riconoscere gli allarmanti segnali prodromici di efferatezze, estremismi e regimi. Per non restare in silenzio.