Due figlie e altri animali feroci: Ortolani papà adottivo
Assolutamente consigliata la lettura di Due figlie e altri animali feroci (Bao Publishing, 2019) di Leo Ortolani, fumettista celebre in particolare per il supereroe Rat-Man.
Questo libro permette di immedesimarsi nell’autore e in sua moglie Caterina che un bel giorno, dopo un percorso di adozione durato nove anni, hanno finalmente ricevuto una chiamata dalla Colombia e si sono ritrovati genitori di due bimbe: Johanna di quattro anni e Lucy María di tre.
Fotografa la difficile realtà di chi di punto in bianco si deve inventare genitore e senza manuale (come sempre!). Ma la sfida in questo caso non consiste nel gestire e crescere un neonato aspettato nove mesi, portato a casa dall’ospedale. Bisogna invece guadagnarsi la fiducia di due piccolette con carattere, abitudini e gusti già formati e radicati, con un vissuto alle spalle non noto, che per giunta si esprimono in una lingua diversa.
Due figlie e altri animali feroci è una raccolta di una ventina di mail che Leo e Caterina scrivevano circa ogni due giorni di sera ai parenti in Italia, desiderosi di ricevere notizie. L’intento era quello di far sapere loro come stessero andando le cose in Colombia con le bambine, in attesa dei documenti necessari per tornare a casa.
Leo Ortolani racconta, come solo lui sa fare, l’inizio della sua nuova famiglia. In quei testi scanzonati c’è tutta l’ironia che gli è propria e che lo contraddistingue.
Aneddoti, lamentele, curiosità, amore, paura di non farcela, arrabbiature, gioia, cacche, stanchezza, risate, ancora cacche. Tenerezza. Insomma “l’avventura di una vita”.
Leggendo è impossibile fare a meno di ridere, tanto e di cuore e anche di commuoversi.
E se la quarta di copertina riporta che «Nessun genitore è stato maltrattato durante la lavorazione di questo libro», Leo Ortolani dice che è vero fino ad un certo punto perché i suoi capelli precedentemente erano scuri, mentre ora li ha brizzolati. Genitori maltrattati no dunque, ma «spremuti a freddo». D’altra parte ogni famiglia è una giungla, tanto che per affrontarla c’è bisogno del cappellino da esploratore.
La storia editoriale di Due figlie e altri animali feroci è iniziata poco dopo il rientro della neo famiglia in Italia. Andrea Plazzi, amico e editor di Leo Ortolani, lette le lettere da lui inviate dalla Colombia, ne comprende la potenzialità e gli propone di farne un libro.
È così che quelle righe sono diventate una lettura per tutti. Leo e Caterina inizialmente le avevano conservate unicamente per Johanna e Lucy María. Sarebbero state il mezzo, una volta in grado di capire, per far rivivere loro l’emozione di quel primo incontro e dei primissimi giorni trascorsi insieme. Pubblicate per la prima volta nel 2011 da Sperling & Kupfer in pochissime copie, sono state rieditate meritevolmente da Bao Publishing, con l’aggiunta di quarantasei tavole di fumetto e nove anni di «Famiglia Ottonani» in più.
Due figlie e altri animali feroci è un ibrido dunque. Non un fumetto, non un diario, non un romanzo autobiografico. È tutte queste cose messe insieme. La cura della nuova veste grafica ed editoriale è davvero notevole.
Cosa ha imparato e ha ricevuto Leo Ortolani dalla sua esperienza di adozione? Ovviamente ha imparato ad essere genitore, cosa che modifica fortemente le prospettive di chiunque. E poi, confessa in un’intervista, ha rivisto il suo ruolo di figlio nei confronti dei propri genitori. Molte cose che da figlio aveva dato per scontate o non aveva colto sono emerse con forza e sotto una nuova luce. Inoltre Leo Ortolani da fumettista che ha adottato ritiene di essere diventato un papà che fa i fumetti.
Due figlie e altri animali feroci è sì una storia personale e familiare ma quella dell’adozione internazionale è un’esperienza che accomuna tante famiglie italiane e non. Sono molti i genitori adottivi o affidatari di bambini provenienti da paesi stranieri. Ne conosco un gran numero. Per non parlare di tutte quelle coppie iscritte nelle interminabi liste di attesa o che stanno affrontando il complicato percorso di selezione per rientrarvi… È un tema delicato, importante e sempre attuale.
Le famiglie divenute tali grazie all’adozione di bambini di altri paesi, nate da un amore incondizionato e da una forza capace di rivoluzionare il mondo, sono state, sono e saranno navi scuola dell’integrazione e del multiculturalismo.
Purtroppo sempre più di frequente capita che questi stessi nuclei familiari vedano i loro sforzi rovinati o vanificati dal clima di intolleranza e razzismo dilagante nel nostro paese. Succede sempre più spesso che siano testimoni e vittime di atti discriminatori.
All’origine del problema tanti fattori diversi. Sicuramente molto lo si deve a una certa politica becera e meschina che identifica nel diverso il capro espiatorio di qualsiasi colpa, facendo leva sulle paure e l’ignoranza della gente. È la politica di chi senza vergogna ha pubblicamente affermato: «… è questa l’Italia cui stiamo lavorando, che i bambini nascano a Cantù e che non ci arrivino sui barconi dall’altra parte del mondo, già belli e confezionati». Ma è nato prima l’uovo o la gallina? Teniamo alta la guardia.
Anche nella mia famiglia ci sono ben due casi di adozione. Mia cugina, venticinque anni fa, ha adottato una meravigliosa bambina nata in un ospedale romano da genitori biologici stranieri. Dopo soli tre anni ha adottato in Russia un altro piccoletto. Avevano tutti e due pochi mesi quando sono arrivati a casa.
E se alle volte Francy da bambina è stata messa all’indice per il colore della sua pelle, ha ricevuto sempre la protezione e il sostegno di tutta la famiglia tanto che oggi, adulta e giovane mamma, affronta la vita con caparbietà, coraggio e allegria. La sua bellezza è disarmante e sta imparando a fare persino delle sue debolezze degli incredibili punti di forza per il quotidiano e il futuro.
Anche l’altro piccolino, arrivato a Roma quando aveva nove mesi, ha riempito e cambiato la vita di noi tutti ed è riuscito ad insegnarci più di qualsiasi altra persona. Lui da principio riconosceva come suono solo il pianto degli altri bambini e mostrava altre conseguenze del periodo trascorso in orfanotrofio a Mosca.
L’esistenza di Big Mic, noi lo chiamiamo così, è stata incredibilmente dura. Affetto da disabilità, la sua mente ha presto perso il contatto con la realtà.
Eppure con tutte le sue oggettive difficoltà è diventato un ragazzone entusiasta della vita, un gigante buono, pieno di hobby e di passioni. Con la dolcezza e l’affettuosità contagiosa proprie di un bambino, con la fede salda nel cuore e con la sua voglia incontenibile di esprimersi, non fa altro che difendere strenuamente i diritti delle persone svantaggiate.
È davvero lunga, tortuosa e trafficata la strada di tutti i genitori ed è proprio vero «… su questa strada non esistono piazzole di sosta». Due figlie e altri animali feroci.