Il Giglio Bianco di Stalingrado ricorda Lidija Litvjak
Con Il Giglio Bianco di Stalingrado la Libreria Editrice Segni d’Autore ha inaugurato a luglio del 2020 una nuova collana a fumetti dedicata alle grandi battaglie aeree e ai più famosi aviatori del passato. Il volume è sceneggiato da Andrea Laprovitera e disegnato da Luca Vergerio. Una squadra collaudata e affiatata grazie al lavoro affrontato precedentemente su San Martino 1859, assieme ad Emilio Maffei.
Davvero una scelta encomiabile quella di raccontare i fatti storici attraverso le biografie dei protagonisti. Lo è ancora di più dare risalto in esordio ad una figura femminile in un settore, quello dell’aviazione, appannaggio quasi esclusivo degli uomini.
Nel secondo conflitto mondiale hanno prestato servizio tante donne. Ben note, ad esempio, quelle con funzioni mediche e sanitarie ausiliarie attive nel Corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa. Meno conosciute forse le militari, addette al servizio non armato: tecniche di radio comunicazioni, chimiche, topografe, stenografe, cuoche, membri di equipaggio sulle navi. Molte altre hanno avuto un ruolo fondamentale abbracciando eroicamente le armi nelle fila della Resistenza, adoperandosi come informatrici o come staffette partigiane.
L’Unione Sovietica brilla per il numero di figure femminili che hanno contribuito nei corpi armati di terra, nella fanteria, nell’artiglieria contraerea, come carriste o come tiratrici scelte. Ma anche la guerra nell’aria è stata costellata da numerose celebri presenze. I Reggimenti 586, 587, e 588 della Voenno-vozdušnye sily, l’Aeronautica militare sovietica, hanno fatto la storia in questo senso. Se il 587° è un Reggimento bombardieri diurno, il 588° invece, meglio noto come Streghe della notte, è appunto notturno. L’unico a rimanere totalmente femminile per l’intero corso della sua esistenza. Infine, il 586° Reggimento caccia è quello in cui ha operato la protagonista de Il Giglio Bianco di Stalingrado.
Lidija Vladimirovna Litvjak nasce il 18 agosto 1921 a Mosca, da Anna Vasilyevna e Vladimir Leontievich Litvjak, che cadrà vittima del regime di Joseph Stalin. Le persone più intime la chiamano Lilya o con il diminutivo affettuoso Lil’ka. Già in età precoce dimostra uno spiccato interesse per il volo. Festeggiando il compleanno il Giorno della Flotta Aerea Sovietica sembra proprio uno strano segno del destino!
A soli 14 anni si iscrive all’Aeroclub Centrale dell’URSS (poi denominato Chkalov) e un anno dopo ha già compiuto il suo primo volo. Nella seconda metà degli anni Trenta ottiene il brevetto. Aspetta però di diplomarsi a scuola nel 1938 per dedicarsi anima e corpo all’addestramento presso la scuola di volo di Kherson, nel sud dell’Ucraina.
Quando scoppia la guerra Lidija Vladimirovna Litvjak tenta immediatamente di arruolarsi, ma non viene ammessa. Giudicano che non abbia abbastanza esperienza di pilotaggio. Aggiungendo al suo libretto di volo un discreto monte ore di navigazione e di esercitazioni supplementari inesistenti, raggiunge il suo agognato traguardo. Entra così nel suddetto 586° Reggimento caccia. Lo scopo dell’unità è precipuamente difensivo: proteggere obiettivi strategici dall’attacco nemico e scortare aerei di personaggi importanti. Le ragazze pilota potevano allontanare aerei attaccanti ma non inseguirli o impegnare combattimento.
Lidija Vladimirovna Litvjak e le sue colleghe pilotano gli Yakovlev Yak-1. Erano velivoli realizzati con una struttura portante interna in acciaio e in parte in duralluminio, con il rivestimento esterno della fusoliera e le ali in legno e tela. Aerei monoposto sicuramente leggeri, veloci e maneggevoli, considerati i materiali di fabbricazione, ma scarsamente sicuri. Oltre ad essere vulnerabili in caso di mitragliamenti nemici e molto sensibili alle variazioni di temperatura ed umidità, cosa non da poco considerato il clima russo, avevano diversi altri difetti.
Era complicato mantenere l’assetto in volo, si verificavano surriscaldamento del motore, incendi improvvisi, nonché fatali distacchi delle ali. Alle volte inoltre si riscontravano problemi nella cellula del pilota e malfunzionamenti dei carrelli. Nonostante tutto gli Yakovlev Yak-1 hanno creato non pochi problemi alla flotta tedesca, tecnologicamente più avanzata. Su uno Yakovlev Yak-1 con la fusoliera contrassegnata dal n. 32, vola anche Lidija Vladimirovna Litvjak fin quando nel settembre 1942, con alcune sue compagne, viene trasferita. La destinazione? Il 437° Reggimento Aviazione da Caccia, un’unità maschile impegnata nella Battaglia di Stalingrado.
È di settembre del 1942 anche l’abbattimento del velivolo Messerschmitt Bf 109 del sergente Erwin Meier. Per salvarsi l’asso della Luftwaffe deve lanciarsi con il paracadute, finendo prigioniero in mano sovietica. Quando chiede di poter incontrare chi l’ha battuto si trova davanti una donna. Crede di essere vittima di un umiliante scherzo. Si convince solo quando Lidija Vladimirovna Litvjak in tedesco – lo aveva imparato a scuola – gli racconta i particolari del combattimento aereo. Il sergente inchinandosi le offre in omaggio il proprio orologio svizzero d’oro, ricevendo in risposta un secco rifiuto sdegnato: «non accetto regali dai nemici della patria».
Ma il 437° Reggimento utilizza per lo più velivoli diversi dallo Yak-1. Per questo motivo a ottobre 1942 Lidija Vladimirovna Litvjak e le sue colleghe passano al 9° Reggimento delle Guardie di Aviazione da Caccia. A gennaio 1943 infine confluiscono nel 296° Reggimento (ribatezzato a maggio 73 GvIAP).
Lidija Vladimirovna Litvjak nel contempo continua a farsi notare più volte in azione. Di conseguenza, il 23 febbraio guadagna la promozione a Mladishij Lejtenan, ovvero a sottotenente. Viene insignita anche con l’onoreficenza dell’Ordine della Stella Rossa, e del titolo di okhotniki: “cacciatore libero”. È così che diviene la prima donna a poter volare, in solitaria o in coppia con un altro pilota esperto, alla ricerca di aerei nemici da attaccare.
Dopo lo Yak-1 numero 32, Lidija ne pilota un altro, identificato con un 44 di colore giallo. Con questo aereo il 22 marzo 1943, durante un’azione, è costretta ad un atterraggio di emergenza. Ferita ad una gamba, viene ricoverata in un ospedale moscovita. Dopo sole sei settimane, prima della completa guarigione e contro gli ordini del medico, torna a combattere.
Spesso in volo fa coppia con Alexei Frolovich Solomatin. I due sono legati da un legame sentimentale. Nel reggimento se ne accorgono tutti. Per timore che questo loro rapporto possa nuocere all’efficienza in battaglia, i comandanti pensano di dividerli. Con un’opera di convincimento riescono a scampare questo pericolo. Quando il 21 maggio 1943 l’uomo muore sul colpo, precipitando di fronte a tutti, Lidija è sconvolta per il dolore. Le viene proposta una licenza ma rinuncia a fruirne.
Seguirà la sorte di Alexei non molto tempo dopo. Il primo agosto del 1943 decolla per la sua ultima missione. A seguito di due attacchi vittoriosi, il suo aeromobile si eclissa fra le nuvole. Non farà mai più ritorno. Aveva solo ventun anni ma era già nel mito. In 168 decolli per combattimento aveva abbattuto più velivoli di qualsiasi altra donna, ed era stata ferita tre volte.
Il suo corpo non si trova, nemmeno i resti del suo velivolo. Il dubbio che possa essere caduta prigioniera in mano nemica rende impossibile la concessione del riconoscimento postumo di Eroe dell’Unione Sovietica. Nel 1979, dopo 36 anni di ricerche, la scoperta della sepoltura di una donna pilota non identificata nel villaggio di Dmitrievka, del distretto Shakhtar (regione di Donetsk), riapre il caso.
Costituita una commissione speciale, si provvede all’esumazione del corpo per analizzarlo. La valutazione finale: i resti appartengono Lydia Vladimirovna Litvyak. Nel 1988 il suo fascicolo viene aggiornato. Alla parola «scomparsa» si sostituisce la dicitura «morta eseguendo compiti di combattimento».
I veterani del suo reggimento sostengono una petizione per vederle conferita l’onorificenza che merita. Finalmente il 5 maggio del 1990 Michail Gorbachev firma il decreto per l’assegnazione del titolo. A Mosca, al n. 14 di Novoslobodskaya Ulitsa, dove Lydia Vladimirovna Litvyak aveva vissuto, viene apposta una placca commemorativa. Un’altra nel luogo della sua sepoltura.
Questa l’intensa e breve vita de Il Giglio Bianco di Stalingrado, giovane donna dalla bellezza cinematografica. Aveva boccoli biondi, la carnagione chiara, grande femminilità e un’eleganza innata. Fragile e tenera ma dalla corazza impenetrabile, viene descritta da molti come come estremamente seria, volitiva, perseverante, ribelle e romantica. Una donna coraggiosa che in volo aveva uno stile spettacolare e aggressivo. Boris Eremin, altro Eroe dell’Unione Sovietica, di lei afferma: «Era un pilota nato. Possedeva il talento speciale del combattente. Era audace e decisiva, inventiva e attenta. Sapeva come vedere l’aria».
Il Giglio Bianco di Stalingrado di Andrea Laprovitera ce la restituisce in parte e con qualche variante. Molto sinteticamente dunque e con un ritmo narrativo serrato, come si conviene ad un fumetto nel quale le concitate battaglie aeree la fanno da padrone. Interessante l’espediente narrativo del dialogo allo specchio, elemento di fiction scelto per porre l’accento sulla complessità di Lydia Vladimirovna Litvyak. Una donna costretta dalle circostanze e dal contesto in cui opera a negare a sé e al mondo di essere insicura e sensibile, costruendosi un’armatura di arroganza, aggressività e impassibilità. Una maschera che tempo, dolori, e avversità incrinano senza scampo.
Luca Vergerio con i suoi efficaci disegni eseguiti su carta e colorati in digitale riesce a fotografare questa evoluzione. Gli bastano pochi tocchi per togliere progressivamente grazia al personaggio. L’attenzione che pone all’espressività è la stessa che dimostra per le ambientazioni, e nella ricostruzione fedele degli aerei militari e delle divise in uso. Abilità quest’ultima frutto di comprovata esperienza nel genere di guerra, con particolare riferimento all’ambito aeronautico. La copertina e le prime tavole permettono fin da subito di immergersi nella devastazione di Stalingrado: una città spettrale a causa di cannoneggiamenti e bombardamenti.
Forti gli echi di modelli illustri, come i lavori del fumettista Ferdinando Tacconi e Diabolik, oltre che le suggestioni provenienti dai videogiochi. Li ritroviamo nei colori sgargianti e innaturali di talune tavole, usati in funzione espressiva, e spesso in unione ad uno sfondo nero, nella scelta di determinate inquadrature, nell’uso delle onomatopee. Colpisce la composizione movimentata e sempre diversa delle tavole. L’effetto finale è un’affascinante quanto straniante frattura dell’immaginario comunemente costruito sulla documentazione fotografica e filmica della seconda guerra mondiale.
A questo punto non mi rimane che invitare tutti alla lettura e attendere pareri e impressioni di ritorno. Non vedo l’ora di godere di un fruttuoso confronto! Il Giglio Bianco di Stalingrado è consigliato per conoscere e serbare viva la memoria di una donna in anticipo sui tempi, la cui vita è stata una meteora. In ricordo dei tanti giovani che, come lei, si sono sacrificati per difendere il proprio paese e per la libertà dal nemico invasore. A presto allora!