La Saint Louis e il coraggio del capitano Schröder
Nel 2021 la collaborazione tra Round Robin Editrice e la Fondazione Museo della Shoah ha dato vita ad una graphic novel importante: St. Louis, il coraggio di un capitano, scritta da Sara Dellabella, disegnata da Alessio Lo Manto, con Emanuele Bissattini che ha curato la sceneggiatura. Tratta e divulga una vicenda poco conosciuta che si pone nel tragico contesto storico che porterà alla Shoah e allo sterminio di milioni di ebrei. È il 13 maggio del 1939 quando il transatlantico tedesco Saint Louis della Hamburg-Amerika Linie salpa da Amburgo verso Cuba.
È capitanato da Gustav Schröder (27 gennaio 1895 – 10 gennaio 1959) e a bordo ci sono 937 passeggeri, quasi tutti ebrei. Si ritengono fortunati perché hanno in mano un documento che per il suo costo non tutti possono permettersi: un visto regolare, un lasciapassare per la salvezza.
Sono quattro anni che in Germania sono in vigore le leggi razziali antiebraiche di Norimberga, dal 15 settembre del 1935. La violenza nazista si è inequivocabilmente palesata a novembre del 1938 nella Kristallnacht, la “Notte dei Cristalli”, con la distruzione di sinagoghe, negozi e l’uccisione di diverse centinaia di cittadini tedeschi di religione ebraica. Le condizioni di vita per gli ebrei tedeschi sono sempre più difficili in un paese in cui l’odio antisemita, da dilagante, è divenuto ormai un sentimento comune, qualcosa di connaturato in tutti.
L’ebreo è considerato un problema da risolvere. La propaganda nazista ha ottenuto il suo scopo. È riuscita nel suo intento di rendere alieni dei cittadini tedeschi da più generazioni. Sono ormai un corpo estraneo nel proprio paese e nelle loro stesse case. Un messaggio e una cultura che non sono esclusivi della Germania (o dell’Italia). L’antisemitismo in quell’epoca è ampiamente diffuso e radicato anche in altri paesi vicini, lontani e oltreoceano, dove era divenuto praticamente politica ufficiale.
Cuba non è da meno. Ecco perché le cose non vanno come sperato quando la Saint Louis il 27 maggio 1939 giunge a L’Avana. Ai suoi passeggeri viene rifiutato l’ingresso per motivi burocratici, a causa di norme cambiate sette giorni prima della sua partenza da Amburgo. Meno di 30 persone soddisfano il nuovo requisito del visto e riescono a scendere a terra. Tutte le altre, sventurate, che avevano investito ogni cosa su quel viaggio si trovano di fatto negato un futuro sereno.
Durante la navigazione il piroscafo è stato per loro un porto franco. Il capitano Gustav Schröder ha affrontato qualsiasi situazione per aiutarle, andando anche consciamente contro le norme del Reich. La Saint Louis è sotto il suo comando ed è lui a dettar legge, sempre. Ora invece per fare altrettanto deve affrontare il mondo, la diplomazia, la burocrazia, la viltà dei potenti.
Tenta il tutto e per tutto al fine di far sbarcare il suo carico di vite innocenti. Non vuole assolutamente riportarlo indietro, ricondurlo nelle orrende grinfie della Germania nazista. Il 2 giugno si allontana dalle coste cubane e si avvicina alla Florida. Chiede soccorso e rifugio sia agli Stati Uniti di Franklin Delano Roosevelt sia al Canada, ma senza successo. Nessuno dei grandi paesi simbolo di democrazia e libertà è disposto a concedere ospitalità e asilo.
A Schröder non rimane altro che traversare nuovamente l’Atlantico e rientrare in Europa. È il 6 giugno 1939. Decide però che riconsegnerà la nave ai suoi armatori solo in cambio di una garanzia per gli ebrei che ha a bordo. In effetti, una volta giunta al porto di Anversa, grazie al suo impegno nelle trattative il Belgio ne accoglierà 214, i Paesi Bassi 181, la Francia 224 e la Gran Bretagna 288. Tuttavia la pace durerà poco. L’invasione dell’Europa da parte del Reich è vicina, così come l’estremo orrore dello sterminio nei lager. Oltre 250 di loro moriranno a seguito delle deportazioni.
«La memoria è qualcosa di delicato. Si rischia sempre di essere inopportuni o di andare a urtare la sensibilità di chi quella storia l’ha vissuta sulla propria pelle. È stato questo il timore più grande durante la scrittura, per cui abbiamo deciso di tenere solo il nome del capitano Gustav Schröder e inventare i nomi degli altri personaggi della vicenda».
Sara Dellabella, giornalista, realizza un fumetto che è un misto tra fiction ed inchiesta. La sua tecnica narrativa è asciutta. Attraverso numerose vignette e tavole senza testo, silenziose, dà spazio alle attese, alle aspettative poi tradite. Un vuoto colmo di preoccupazioni, paura e disperazione.
I disegni di Alessio Lo Manto in bianco e nero e scala di grigi mostrano un segno «contemporaneo e lievemente déco, con un pizzico di Giappone», come lo ha definito la fumettista, scrittrice e giornalista Cinzia Leone nel corso di un’interessante presentazione online. Un disegno personale che attinge e trae ispirazione da insigni modelli. Uno di questi è Will Eisner, anche per la concezione della gabbia. Il suo Dropsie Avenue è un capolavoro da tenere sempre a mente quando s’intende creare una perfetta commistione tra storia particolare ed universale. Altro riferimento per lo stesso motivo è il celeberrimo Berlin di Jason Lutes. C’è invece il colosso Frank Miller dietro l’idea di inserire silhouettes nere in alcune tavole, strumentale al proposito di non mostrare la violenza, se non attraverso la sintesi.
Importante il lavoro di ricerca e di reference sulle fonti fotografiche perché fatti realmente accaduti devono essere riprodotti nella maniera più fedele possibile. In mancanza di riferimenti si è proceduto per analogia. Ad esempio, per ricostruire arredamenti e aspetto degli interni della Saint Louis sono state utilizzate immagini di altri piroscafi della medesima epoca.
Il capitano Schröder, come molti dei protagonisti positivi di quel periodo, e di quello immediatamente successivo del secondo conflitto mondiale (penso ad un Giorgio Perlasca) è una persona qualsiasi, normale. Reputa di non poter fare altro se non ciò che ritiene giusto secondo pensiero e coscienza e con somma coerenza, non senza paura, si mette in gioco nonostante i rischi. È sicuramente un eroe ma non si sente tale. L’11 marzo 1993 lo Yad Vashem l’ha insignito postumo del riconoscimento di Giusto tra le nazioni.
Un fumetto necessario nell’epoca post testimoni, per divulgare a generazioni ormai lontane ed estranee ai fatti, abituate per lo più ad un mondo fatto di immagini. L’unione di parole e illustrazioni è incisiva, dinamica e potentissima. Il messaggio, la comunicazione dei fatti e della verità, arrivano democraticamente immediati a tutti in unione alle emozioni, tenendo viva la memoria.
Per di più da alcuni anni la vicenda del transatlantico Saint Louis è per alcuni aspetti di attualità, senza voler assolutamente paragonare la realtà odierna con l’unicità del fatto storico in sé e del contesto in cui si colloca. Sono tanti però i barconi che vengono bloccati o respinti, le persone fuggiasche che cercano approdo in Europa e che non vengono accettate.
Come in occasione della Conferenza di Evian (6-15 luglio 1938), riunita per deliberare circa l’accoglienza dei profughi ebrei a causa delle leggi razziali, i Paesi discutono di ricollocazione e di spartizione dei migranti richiedenti asilo. Molti, impregnati di razzismo come allora, allo stesso modo credono che respingere, chiudere i porti, oltre che innalzare muri e barriere a protezione dei confini sia la soluzione al problema, disincentivi il fenomeno. Esprimono vane e false parole di solidarietà, purché gli stranieri nemmeno transitino nei loro territori e anzi, rimangano lontani dalle proprie frontiere. In alternativa a più riprese non fa che risuonare il vergognoso «aiutiamoli a casa loro!», unito ad altri slogan e ad argomenti tipici di una propaganda che punta alla pancia dei cittadini.
St. Louis, il coraggio di un capitano propone una riflessione anche su tutto questo. Sul significato e gli esiti del rifiuto, dell’omissione di soccorso e asilo, del voltarsi dall’altra parte, dell’indifferenza. Sono colpe, gravi non meno del criminoso agire. E determinate colpe non si cancellano, neppure con tardive scuse, come quelle del primo ministro canadese Justin Trudeau del 7 novembre 2018 per il caso Saint Louis (pubblicate in appendice al fumetto). No, non è possibile perdonare a nome di altri che hanno patito l’indicibile.