Nero vita: un racconto di lotta al lavoro sommerso
Autobiografia, storia privata e generazionale, memoir, analisi e critica sociopolitica. Sono tutte chiavi di lettura dell’opera prima di Daria Bogdanska, autrice polacca classe 1988: Nero vita (Mesogea, collana Cartographic, 2019). Il focus del racconto è il periodo immediatamente successivo al proprio trasferimento a Malmö in Svezia per poter intraprendere gli studi di fumetto presso la Kvarnby Serieskola.
Per vivere nel paese scandinavo innanzitutto è indispensabile ottenere il personnummer. Un codice multifunzione di identificazione personale attribuito alla nascita a tutti i futuri contribuenti, equivalente al codice fiscale italiano. Non basta avere un indirizzo di residenza e dichiarare di voler rimanere nel paese per almeno un anno. Occorre così passare attraverso lo Skattwrverket, l’ufficio delle imposte, e il Migrationsverket, l’ufficio immigrazione, attestando di possedere un reddito (dunque un impiego regolarmente contrattualizzato).
È qui che sorgono le difficoltà per Daria Bogdanska. Anche nella civilissima Svezia, spesso presa a modello, per un’immigrata venticinquenne che non parla svedese, per di più impegnata alcune ore della giornata a frequentare corsi, trovare un lavoro che non sia in nero è impresa ardua, se non impossibile. O meglio un modo c’è per renderla realizzabile: ci vuole proprio il famigerato personnummer. Uno dei tanti assurdi nodi e paradossi burocratici dell’Europa delle migrazioni.
Grazie al caro amico Mendi, Daria Bogdanska riesce a racimolare lo stretto necessario per arrangiarsi. Prima lavora in un chiosco di burger vegani, poi per arrotondare conta le biciclette che passano in strada su incarico dell’amministrazione comunale. Non basta. L’urgenza è un impiego più stabile. Gioisce quando trova posto come cameriera serale nel ristorante Indian Curry Hut a Möllan, il quartiere alla moda per la ristorazione della gentrificata Malmö.
La realtà però non è quello che sembra e la specialità della casa non è di certo un buon piatto di chicken tikka masala. Inizia a lavorare il giorno successivo, senza contratto e senza conoscere anticipatamente la paga, che riceve in contanti alla fine della settimana: cinquanta corone l’ora.
Con lei ci sono altri giovani di diversa nazionalità, tutti bisognosi di guadagnare. Le condizioni sono veramente misere. Sfruttati anche per 12 ore al giorno, maltrattati, ricevono uno stipendio irrisorio. Non è commisurato all’esperienza ma piuttosto inversamente proporzionale al colore più o meno scuro della loro pelle e alla loro disperazione.
Così chi è bengalese guadagna meno di chi è polacco e ancora meno di chi è svedese. Precarietà, razzismo, discriminazione: la descrizione esatta della schiavitù dei giorni nostri. Non a caso Nero vita ha come titolo dell’edizione originale Wage slaves, ossia «schiavi del salario».
I pochi soldi ottenuti servono per sopravvivere, avere un tetto sulla testa, sostentare la famiglia e magari, come Daria Bogdanska, a dormire con un materasso per terra in una stanza senza finestra. È lo stato di necessità che costringe tutti a sottostare alle regole del disonesto e cinico Sanad, titolare del locale. L’autrice si vede invischiata suo malgrado in una situazione da cui è problematico uscire, asservita di fatto a ciò che la annulla.
Il suo alienante quotidiano, già pieno di stanchezza e ostacoli, si fa sempre più duro e non migliora da questo punto di vista quando decide di reagire. È forte però il desiderio di stare meglio e di costruirsi una vita che sia all’altezza della propria etica politica. Vedere riconosciuti i propri diritti e quelli degli altri dipendenti diventa per lei un fine irrinunciabile, pur se causa di stress, ansie e paure. È noto d’altra parte, il più delle volte se protesti e ti ribelli davanti alle ingiustizie come minimo vieni licenziato.
Intraprende con coraggio una dura lotta per la legittimazione essendo sostenuta, consigliata, rappresentata e difesa da un sindacato. Il primo passo di questa svolta grazie al contatto con una giornalista. A seguito di indagini e di una causa avrà la sua rivincita, non senza rendere il lettore partecipe delle sue emozioni e del suo privato, senza sconti.
Le tavole in bianco e nero di Nero vita mostrano anche il mondo interiore di Daria Bogdanska. Le inquietudini della vita adulta, i suoi legami d’amicizia e sentimentali sono estrinsecati con dignità, pudore e forza. Nei disegni c’è la sua routine oltre alla descrizione dei paesaggi urbani abituali, solo in parte dettagliati. Ci sono le strade e i luoghi che frequenta, gli squat e gli appartamenti che condivide con altri ragazzi, nonché i caratteristici locali alternativi delle sue serate in compagnia. È così che ci si immerge nell’atmosfera hipster, punk ed underground della città di Malmö.
I disegni, realizzati con un pennello inchiostrato, sono estemporanei, irregolari, quasi abbozzati e poco realistici. Pieni di forza ed energia vitale, ricordano per certi aspetti quelli di Persepolis di Marjane Satrapi. Tutti i personaggi, protagonisti e secondari, sono caratterizzati al meglio e fortemente espressivi.
La grande quantità di didascalie, che spesso prendono il sopravvento sui disegni e riempiono le vignette, come lo stile del lettering, disordinato e talvolta affollato, hanno una ben precisa funzione. Contribuiscono a rendere evidente il senso di oppressione vissuto dall’autrice. Sono il segno di quanto spazio occupino nell’esistenza di una persona tutti quei pensieri e quei dialoghi che si ritengono necessari, fondamentali e urgenti.
Il ritmo delle vignette è veloce ma non determinato da un’attenzione particolare per la composizione delle tavole, che risulta sostanzialmente classica. È piuttosto la dimensione ridotta di gran parte dei riquadri a dare l’idea della faticosa frenesia che pervade le giornate di Daria Bogdanska, impegnata non solo a tirare avanti ma, nei rari momenti per sé, a vivere intensamente per poter guardare sempre con speranza al domani.
Non c’è tempo per le pause, non ce n’è per fermarsi, nel bene e nel male. In definitiva un fumetto in cui il contenuto ha graficamente la meglio anche sulla forma. E quest’ultima è perfettamente coerente con una pienissima vita sgangherata, alternativa e punk (come il gruppo Två Krig con cui Daria Bogdanska si esibisce). Una scelta probabilmente consapevole, di sicuro molto efficace.
In Svezia la battaglia di Daria Bogdanska e la pubblicazione di Nero vita hanno ricevuto molta attenzione da parte dei media e sono state ben accolte dalla cittadinanza, non senza qualche sporadico episodio di intolleranza. La sua lotta per i diritti si è allargata a macchia d’olio ad altri lavoratori in nero che hanno seguito il suo esempio e si sono rivolti ai sindacati.
Oggi, oltre a creare fumetti Daria Bogdanska lavora come insegnante di comics alla Svalöv Folk High School e meccanico di biciclette a Malmö. Gestisce inoltre un club commerciale nel negozio di biciclette. Restituisce quanto umanamente ricevuto essendo coinvolta in prima persona nel sindacato SAC e facendo sue le preoccupazioni degli immigrati in Svezia e dei giovani che si affacciano sul mercato del lavoro. L’Indian Curry Hut è ancora aperto e operativo, mi auguro con un’altra gestione.
Nero vita è un regalo di speranza, un incentivo a volersi bene, a non sottostare alle ingiustizie e a fare di tutto per emergere dal sommerso. È l’unico modo per poter essere parte della società da umani invece di sopravvivere come schiavi. Un fumetto che invita a creare una rete solidale con il prossimo e che per altro verso impone una domanda: per quanto tempo politiche migratorie europee comuni e condivise, che facilitino l’iter per l’integrazione, saranno ancora un miraggio? Infine, una storia per sognare il ritorno ovunque a un movimento sindacale degno di tal nome, che dia spazio proprio a tutti. La sensazione è che troppo spesso nel nostro paese (e non solo) un’adeguata tutela sia garantita solo per le categorie contrattualmente più forti.