Non stancarti di andare. Attendere: infinito del verbo amare
Per un discreto numero di giorni ho goduto della compagnia di Non stancarti di andare di Teresa Radice e Stefano Turconi (Bao Publishing, 2017). È uno di quei libri che dispiace finire e che allo stesso tempo non si vede l’ora di finire, così tanto bello, potente, completo e complesso da sembrare banalizzato da qualsivoglia tentativo si faccia di descriverlo.
Mi sono rivista e ritrovata. Ci sta tanto della mia sensibilità, dei miei sentimenti, di ciò che mi piace e in cui credo fermamente, di quello che profondamente desidero. Ho pianto, di dolore e di gioia, ho sorriso, ho sperato e tanto atteso.
Ho atteso con Iris, disegnatrice veneziana che vive in Liguria, la nascita di suo figlio. L’ho accompagnata nella sua gravidanza scoperta poco dopo la partenza di Ismail, il suo compagno siriano insegnante di storia dell’arte, per un breve rimpatrio. Ho atteso con Iris il ritorno di Ismail in Italia.
Sì, perché il viaggio di Ismail verso la famiglia d’origine e gli affetti in Siria si trasforma ben presto e suo malgrado, in quel calvario, in quell’odissea che tanti migranti, uomini, donne e bambini sono costretti ad affrontare per fuggire dai loro paesi martoriati dai conflitti. Quando infatti iniziano gli scontri tra il regime di Assad e le brigate dell’Isis, allo scoppio di quella guerra di cui oggi conosciamo bene gli effetti, Ismail è ancora in Siria ed è costretto a scappare per mettersi in salvo. La via verso casa, Iris, l’Italia e il futuro è lunga e pericolosa. Molti avvenimenti lo spingono al limite dell’umanità, a compromessi che non possono che rimanere impressi nell’anima. E lui in tutto ciò è ignaro della sua futura paternità.
Nel frattempo, in quelle nove lune, ho scoperto tra mille flashback e salti temporali la genesi della storia d’amore tra i due e le vicende della famiglia di Iris: della mamma, della nonna e della “zia”.
Ho attraversato epoche, guardato il passato per comprendere il presente e intravedere la direzione che avrebbe preso.
Ho letto lettere, tante lettere. Quelle scritte per ricostruire la storia della nascita della stessa Iris e quelle da lei scritte, attendendo il ritorno Ismail, per permettere alla sua creatura dal sesso ignoto (Ismairis, “amore minuscolo”) di venire al mondo e di poterlo affrontare nella sua realtà, con o senza padre.
Ho intessuto insieme ad Iris, sulla scena con i suoi timori, i suoi interrogativi, la sua quotidianità, tutti quei rapporti umani e quelle reti di salvataggio che pazientemente si costruisce in un momento tanto destabilizzante.
Ho vissuto un microcosmo multiculturale, colto, sensibile, non convenzionale, del coraggio delle idee, di fratellanza, da opporsi alla realtà dilagante fatta di guerre, di sofferenze inaudite, d’ignoranza, di omologazione, di muri, di egoismo di chi non vede oltre il proprio naso, di chi discrimina, di chi si sente ottusamente forte nel proprio precario orticello di pace costruito grazie alle lotte e al sangue di altri.
Quel microcosmo esiste e lo vorrei universo mondo (credo anche gli autori).
Un altro grande dono di Non stancarti di andare è stato quello di poter incontrare nel Monastero Deir Mar-Musa, attraverso la figura di padre Saul, l’immenso, profetico, umano, coraggioso, rivoluzionario, amatissimo padre gesuita Paolo dall’Oglio, che mi piace l’idea di attendere ancora da quel triste 29 luglio 2013.
Non stancarti di andare è attraverso tante parole e disegni mirabili questo ed altro.