Salvo imprevisti e il rumore della solitudine
Silenzi, solitudini, incomunicabilità, ricerca di sé. Di questo tratta Salvo imprevisti di Lorena Canottiere (Oblomov Edizioni, 2019).
Le storie che si intrecciano in questa graphic novel sono quattro, di altrettanti protagonisti. Tre sono umani, di cui due inventati, di fantasia, e uno realmente esistito.
C’è dunque Liam, un astrofisico che ricerca segnali elettromagnetici provenienti dal cosmo; Marzia, un’adolescente dei giorni nostri e c’è la scrittrice Katherine Mansfield, che nel 1915 si ritirò in Costa Azzurra per un soggiorno curativo, poco tempo dopo la morte prematura del fratello in guerra. Il quarto protagonista invece è Rocío, un’intelligenza artificiale, di quelle studiate e programmate per aiutarci a gestire casa: un HomeBot.
I silenzi di Liam sono i non detto che lo portano alla separazione da Lily, sono le telefonate senza risposta, sono i “silenzi cosmici” perché in fondo l’unico segnale captato dallo spazio risale al 1977 e lui non fa che ricercarne e attenderne altri.
Marzia vive di silenzi, vive chiusa in se stessa, non esterna i suoi problemi e nemmeno i suoi desideri.
Katherine Mansfield dal silenzio rifugge, ma ne è immersa. È il silenzio del luogo incantato in cui abita ma è allo stesso tempo quel silenzio interiore che urla e dà dolore.
Per tutti il silenzio altro non è che un sintomo della solitudine in cui si trovano a vivere, o in cui semplicemente sentono di vivere. La peggiore delle solitudini forse: una solitudine in compagnia.
Ognuno di loro è infatti contornato da persone ma si sente isolato, incompreso, soffre e colma quella solitudine e quel silenzio a modo suo.
Liam mette davanti a tutto, anche ai sentimenti e alla socialità, la passione e l’impegno per il proprio lavoro. Scegliendo di seguire la sua vocazione prende si emargina sempre più, tanto da arrivare ad ammettere: «Sono sempre più distante da tutto… Mi sembra che la vita sia da un’altra parte».
Marzia vive in un universo tutto suo, virtuale, fatto solo di tecnologia e di cellulare, con cui ossessivamente fotografa ogni cosa. Un mondo filtrato, oltre uno schermo, che le sembra più confortevole di quello che la circonda nella realtà. La famiglia non le è d’aiuto e nemmeno la sua psicologa, che tenta di mostrarle la via per risolvere quei problemi che crea e si crea proprio per essere notata da chi le sta intorno.
Katherine Mansfield invece è in un buen retiro, in un ambiente consolante e accogliente dove, dopo tanto peregrinare, si sente a suo agio quasi come in patria, nella sua Nuova Zelanda. Pur essendo immersa nella bellezza, e avendo al suo fianco il marito John, è malata e disperata per il suo lutto.
L’espediente che trova inconsciamente per tentare di salvarsi è parlare continuamente con James, il fratello morto, come se fosse lì con lei. Ogni momento, ogni pensiero, li condivide con lui. Lo vede. Lo incontra nel sonno. Eppure il rimedio sembra peggiore del problema: non fa che acuire il vuoto interiore che quella perdita ha lasciato.
Quelle di Katherine sono parole che non hanno interlocutore, sono dialoghi senza risposta.
Liam di parole ne dice, discute con la compagna, si apre con gli amici e la sorella ma le sue parole non sono efficaci. I suoi bisogni e le sue aspirazioni non vengono comprese. Nessuno riesce a supportarlo veramente. In fondo sono tutti talmente presi dalle proprie esistenze e dalla ricerca di sé, da non riuscire ad andare oltre il proprio egocentrismo, lui compreso. L’unico autenticamente interessato ai suoi racconti sembra essere il nipotino, un bambino, e anche questo fa riflettere.
Marzia è l’esempio perfetto dell’incomunicabilità, del costruirsi maschere, dell’innalzare barriere a difesa. Anche nel mondo virtuale si nasconde dietro tanti fake profiles.
Tutti e tre i personaggi dimostrano quanto “rumore” ci possa essere intorno alle persone, persino quelle fra loro più intime. Rumore inteso come elemento di disturbo che impedisce una reale possibilità di ascolto e comprensione dell’altro, nonostante sia lì, presente e vicino fisicamente, nonostante si abiti insieme, nonostante i legami affettivi o di sangue.
E di rumori nel senso letterale del termine il libro è pieno. Molti di questi sono prodotti dalla tecnologia, ma non solo. Proprio la tecnologia, comunque, che doveva servire ad agevolare le comunicazioni e l’apertura al mondo, sembrerebbe aver ottenuto l’effetto contrario, da tutti i punti di vista.
Il paradosso è che l’unico personaggio del libro che ha desiderio di “incarnarsi”, di vivere, di provare sentimenti e sensazioni è proprio l’HomeBot. In quanto “macchina” è stato progettato per aiutare i suoi stessi creatori. Nel farlo, però, nell’osservare e ascoltare il mondo degli umani, si dimostra curioso, si pone domande, impara, e sogna.
Sogna di poter sapere quello che noi tutti, nel rumore di fondo delle nostre esistenze affannate, tendiamo a dimenticare o a dare per scontato. Desidera sapere cosa voglia dire avere un corpo, muoverlo, curarlo. Vagheggia di quale e quanta ricchezza di sensazioni fisiche e di comunione spirituale sia fatto un abbraccio fra corpi in un letto disfatto.
Forse, penso io, si sorprende di quanta comunicazione ci sia proprio nei silenzi, quando quei silenzi sono carichi di parole già dette e interiorizzate, di condivisione, di amore, di conoscenza profonda, di ascolto, di complicità e di voglia di vivere la vita a pieno in ogni quotidiano momento. Salvo imprevisti.
Insomma in questa graphic novel il mondo parrebbe essersi capovolto, come mostra la copertina del libro.
La speranza, a mio avviso, è quella di rendersi conto di una cosa semplice: la felicità e i colori sono sempre lì, e sono belli e tanti quanti ne riesce a mescolare sapientemente Lorena Canottiere.
La magia di quei colori vivaci di cui è impossibile stancarsi può facilmente tornare ad arricchirci tutti. Basta saperla osservare, eliminando tutti quei filtri che, come una zanzariera, una fitta trama a quadratini, ogni tanto mettiamo davanti a noi. Basta solo aver voglia di cambiare punto di vista. Solo allora sarà bello anche un fantasioso, fanciullesco mondo all’incontrario.
Grazie ancora a Lorena Canottiere per la dedica meravigliosa che ha realizzato per me al Lucca Comics. Ricordo ancora il senso di stupore e meraviglia che ho provato nel vederla lavorare. Il regalo più bello è sapere di poterlo rinnovellare ogni qualvolta apro la mia copia del suo libro.